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L'accompagnamento di un paziente nel fine vita - Uno studio sulla realtà lavorativa
Lo studio proposto è di prevalenza ed il fine è fotografare le realtà in cui si assistono i pazienti più fragili, quelli in corso di fine vita.
Considerato il momento che stiamo vivendo e per facilitare e promuovere la massima partecipazione allo studio la ricerca utilizzerà la via web. Il questionario è anonimo per facilitare l’emergere delle gioie e dei dolori nei contesti assistenziali, in spirito di condivisione.
Ciò servirà ad individuare spazi di supporto sindacale, senza atti eroici da parte del personale evitando che si esponga personalmente. Nursing Up non vuole clamori mediatici o scandali, bensì intende aiutare le realtà in studio, senza esporre i lavoratori, in molti casi, già in difficoltà. Si è scelto di non chiedere l’indicazione della città, ma la regione, per coerenza nella tutela del personale, che non vogliamo sia identificabile in alcun modo.
Gli ambiti assistenziali attenzionati in partenza sono gli Hospice, ma si è pensato di coinvolgere più strutture, dal momento che potrebbe non essere d’uso esclusivo il trattamento di cittadini a fine vita, negli Hospice e/o centri di cure palliative.
Per i malati è importante avere il meglio. - Florence Nightingale
L’ACCOMPAGNAMENTO ALLA FINE DELLA VITA
«Morire è come nascere, c’è sempre bisogno di qualcuno che presti assistenza [...] alla fine comunque è sempre la madre che mette al mondo il figlio, ed è sempre il moribondo che porta a concepimento la sua nascita» E. Kübler-Ross
Se volete contattarci: regionalelazio.nursingup@gmail.com
Sanità, Nursing Up Lazio: Celebrerà la mobilitazione degli infermieri della Regione Lazio il 8 maggio 2019 per dire #noaldemansionamento, previsti flashmob con un gazebo in via Cristoforo Colombo, davanti al palazzo della Regione Lazio.
Comunicato stampa (inoltrato a tutti i politici della Regione Lazio)
Sanità, Nursing Up Lazio: Celebrerà la mobilitazione degli infermieri della Regione Lazio il 8 maggio 2019 per dire #noaldemansionamento, previsti flashmob con un gazebo in via Cristoforo Colombo, davanti al palazzo della Regione Lazio.
Roma, via Cristoforo Colombo, davanti al Palazzo della Regione Lazio, l’8 maggio 2018 –Annunciamo la mobilitazione degli infermieri per combattere contro il grave fenomeno del demansionamento, una settimana dal 6 al 10 maggio di eventi e manifestazioni, la stessa settimana in cui si ricorda la nascita della nostra progenitrice Florence Nightingale. L’iniziativa rientra nell’ambito della campagna Nursing Up #noaldemansionamento, lanciata dal sindacato lo scorso 7 marzo durante l'Assemblea nazionale che si è tenuta a Roma alla presenza di centinaia di attivisti accorsi da ogni parte d'Italia per denunciare ciò che accade in numerose Aziende sanitarie, dove i professionisti della salute sono costretti, quotidianamente, a fare fronte a una situazione emergenziale per la drammatica carenza di organico dovuta al decennale blocco del turnover. Per il personale del Ssn, già ridotto ai minimi termini, si prospettano ulteriori emorragie in vista dei prepensionamenti previsti con Quota 100.
Il demansionamento degli infermieri scaturisce come conseguenza delle criticità del contesto sanitario, caratterizzato, ora più che mai, dalla disorganizzazione del lavoro che dipende dalla carenza o assenza di personale ausiliario e da politiche sanitarie tese a depauperare il Servizio pubblico. Tagliare le risorse destinate alla Sanità significa comprimere i diritti che fanno capo sia al cittadino, che chiede legittimamente di essere curato, sia agli infermieri costretti a svolgere funzioni improprie, come rifare i letti, portare provette in laboratorio, spostare i pazienti da un reparto all'altro, con ricadute immancabili sui servizi erogati. Infatti perdendo dignità e valorizzazione, gli infermieri vedono scadere loro malgrado la qualità dell'assistenza.
“...”. Così Laura Rita Santoro, Responsabile Regionale Nursing Up, presenta la settimana del #noaldemansionamento, iniziativa che rientra nell’ambito dell'omonima campagna di sensibilizzazione nazionale.
Per il sindacato degli infermieri è giunta l’ora di serrare i ranghi della categoria, che sopporta da lungo tempo condizioni di lavoro inaccettabili, a fronte di un’evoluzione della figura dal punto di vista della responsabilità professionale e dell’inquadramento ordinistico (l’albo conta 450mila unità, di cui 270mila in forze alla Pubblica amministrazione), ma senza i relativi riconoscimenti al livello di valorizzazione, consentendo uno sfruttamento pericoloso da parte delle Aziende.
Lottiamo tutti insieme, uniti e solidali, contro il demansionamento degli infermieri per esercitare la professione senza doverla sacrificare per logiche di risparmio che danneggiano l’assistenza ai cittadini. Non basta vincere nelle aule di tribunale, ci vuole un grado maggiore di consapevolezza da parte di ognuno. Ce lo impone il codice deontologico degli infermieri e ce lo chiede in primis la gente, che attende mesi in lista d’attesa per accedere ad una visita specialistica. Adesso occorre un cambiamento culturale per aiutare gli infermieri a fermare le pericolose ricadute che il fenomeno comporta da un punto di vista qualitativo.
Con la campagna #noaldemansionamento gli infermieri intendono richiamare le Aziende sanitarie alle loro responsabilità, informare i professionisti sulla problematica e affrontarla concretamente acquisendo le denunce di ciò che accade. Allo scopo sono previste forme di protesta organizzate dalle delegazioni del Nursing Up Regione Lazio e flashmob che si concentreranno soprattutto nella giornata del 8 maggio prossimo. Ma non sarà solo un momento di protesta, gli eventi avranno un carattere di inclusività verso la popolazione, proponendo attività di cui i cittadini potranno usufruire, come la misurazione della pressione, e di infopoint che vedranno gli infermieri espletare alcune procedure di esclusiva competenza professionale infermieristica.
Si fa presente che in alcune aziende, dopo numerose segnalazioni scritte, dopo aver denunciato il demansionamento all’Ispettorato del Lavoro, stiamo già procedendo con i legali alla denuncia del demansionamento, Azienda ospedaliera per azienda.
Roma, 28 aprile 2019
Cordialmente
Dott.ssa Laura Rita Santoro
Nota per le redazioni:
Per avere maggiori dettagli sugli eventi contattare
la dirigente Responsabile Regionale Nursing Up Lazio
Dott.ssa Laura Rita Santoro
Al numero 3475871031
Mail: regionalelazio.nursingup@gmail.com
Settimana contro il demansionamento, mobilitazione e iniziative di protesta nell’ambito della campagna Nursing Up ‘#noaldemansionamento’
All’attenzione di tutti i colleghi
All’attenzione di tutti i mass media interessati
Oggetto: Settimana contro il demansionamento, mobilitazione e iniziative di protesta nell’ambito della campagna Nursing Up ‘#noaldemansionamento’
Cari colleghi,
è stata proclamata nel periodo dal 6 al 10 maggio 2019 l’apertura della mobilitazione nazionale per combattere contro il grave fenomeno del demansionamento degli infermieri: l’iniziativa rientra nell’ambito della campagna di comunicazione ‘#noaldemansionamento’ e ne rappresenta inizio e momento apicale.
Durante la cinque giorni sono previste forme di protesta organizzate dalle delegazioni regionali e flashmob che si concentreranno, in particolare, durante le giornate del 8 e 10 maggio pp.vv.: tali eventi saranno intervallati da attività a vantaggio della popolazione, come la misurazione della pressione ed altre attività informative di ambito sanitario nonché di competenza professionale infermieristica. Per dare risonanza alle manifestazioni, vi chiediamo di inviare foto di ciò che accade, anche in tempo reale, sull’applicazione Whatsapp al numero di tel. 331 86 69 679. A tal riguardo si tenga conto del fatto che le foto dovranno essere realizzate evitando comportamenti che possano esporre gli interessati a forme di responsabilità nei confronti dell’ente di appartenenza; per tale ragione i selfie dovranno essere scattati al di fuori del luogo di lavoro, utilizzando solo le locandine allegate (sul demansionamento) e non dovranno essere fotografate altre persone, né luoghi né scritte o cose che possano far risalire, anche indirettamente, al nome dell'azienda sanitaria o dell'ente di appartenenza (né cartellini, né loghi, né badge, né divise dell'Azienda, né qualunque altro elemento identificativo dell’ente di propria appartenenza).
Le iniziative di protesta sono state indette e saranno, al contempo, coordinate, tempo per tempo, dalla Consulta Nazionale.
Tutti i Dirigenti Sindacali che operano sul territorio sono chiamati a dare il proprio massimo apporto e sostegno alle iniziative.
A tal fine si invita a contattare i propri Dirigenti territoriali del Nursing Up.
Al termine della prima settimana di mobilitazione, caratterizzata da flashmob e da altre forme di contestazione, partiranno assemblee su tutto il territorio nazionale, per decidere quali ulteriori azioni di protesta intraprendere all’interno delle Aziende di appartenenza. Sul sito internet www.nursingup.it e sulla pagina Facebook nazionale saranno pubblicate, di volta in volta, le date delle assemblee e quelle relative alle altre iniziative sul territorio.
LA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE
Ricordiamo a tutti che, con la campagna ‘#noaldemansionamento’, vogliamo:
- richiamare le Aziende Sanitarie alle loro responsabilità;
- informare i professionisti;
- sensibilizzare i cittadini sulla problematica;
- affrontare la problematica in modo concreto, acquisendo le denunce di ciò che accade.
Noi del Nursing Up intendiamo indicare un nuovo percorso da intraprendere, dentro e fuori gli ospedali, chiamando a raccolta, in assemblee indette ed organizzate ad hoc, tutti i colleghi interessati al tema, perché è arrivato il momento di dire basta!
Chiediamo la massima adesione alle iniziative di lotta e, in particolare, la partecipazione massiccia alle assemblee locali.
IL DEMANSIONAMENTO INFERMIERISTICO: UNA SINTESI
Il demansionamento degli infermieri è la risultanza derivante dalle criticità del contesto sanitario, caratterizzato, ora più che mai, dalla disorganizzazione del lavoro, frutto di carenza o di assenza di personale ausiliario e di politiche tese a depauperare il SSN. Tagliare le risorse ad esso destinate ha significato costringere gli infermieri a svolgere funzioni improprie, svilendone dignità e valore della professione.
Con le gravi ed attuali carenze di organico, che si sommano all’esodo previsto con la cosiddetta “Quota 100”, assisteremo ad un incremento vertiginoso del fenomeno del demansionamento, con inevitabili ricadute sulla qualità delle prestazioni assistenziali erogate.
COME AVVALERSI DEI SOCIAL E DEL MATERIALE GRAFICO PER DIFFONDERE L’HASHTAG
Per dare diffusione al messaggio da veicolare e preparare il terreno agli incontri sarà utile avvalersi del materiale grafico dedicato alla campagna ‘#noaldemansionamento’, nonché distribuire i porta-badge con lo slogan della campagna e il logo del Nursing Up, ma avremo a disposizione magliette personalizzate da indossare durante gli eventi (saranno a disposizione nel gazebo in via Cristoforo Colombo l’8 maggio 2019).
Intanto, la locandina e il cartello della campagna, sono in allegato alla presente missiva e potranno essere comodamente riprodotti da chiunque lo desideri.
Parola d’ordine: comunicare, comunicare, comunicare!
Al fine di evitare responsabilità personali ai vari livelli, si ribadisce ancora una volta che ogni selfie sarà strettamente personale e che lo stesso dovrà essere scattato al di fuori del luogo di lavoro, utilizzando soltanto la locandina allegata. Non dovranno, pertanto, essere fotografate altre persone, oppure luoghi, scritte o cose che possano ricondurre, anche soltanto indirettamente, al nome dell'azienda sanitaria o dell'ente di appartenenza (no cartellini, no loghi, no divise dell'Azienda, ecc. ecc.).
I Dirigenti Sindacali Regionali potranno realizzare video ed altro materiale destinato alla diffusione, depositandoli nel cloud realizzato e reso disponibile dalla Sede Nazionale, a condizione che siano rispettate in toto le restrizioni e le regole sopra esposte. Si potrà parlare del fenomeno demansionamento ed esortare i colleghi a partecipare alle iniziative ma, anche in tal caso, non si dovrà dare spazio né a fatti specifici e circostanziati né a circostanze che possano far risalire, anche indirettamente, al nome dell'azienda sanitaria o dell'ente di appartenenza.
Quanto innanzi si rende opportuno e necessario, per evitare che qualsivoglia azienda sanitaria possa distogliere l’attenzione dal reale problema proponendo azioni di tutela della propria immagine nei confronti degli interessati.
Più in generale, si ricorda anche che la Federazione FNOPI, attraverso un pronunciamento del proprio Consiglio Nazionale del 13.10.2018, ha fornito precise indicazioni sui comportamenti che, attraverso i social o strumenti similari, possano configurarsi come violazione delle regole deontologiche. Il provvedimento, che a beneficio di tutti si riporta in allegato, dovrà essere tenuto in opportuna considerazione da parte di tutti gli interessati.
A quanto innanzi detto va aggiunto che, nel sito ufficiale della Federazione FNOPI, laddove si fa riferimento ai rapporti con l'organizzazione, è riportato quanto segue:
“Mantenere online un comportamento corretto nei confronti dell’organizzazione:
✓ conoscere e rispettare le politiche e i regolamenti aziendali relativi all’uso di computer, fotocamere, telecamere e altri dispostivi elettronici, compresi quelli personali, durante l’orario di lavoro e/o di formazione o stage
✓ non pubblicare commenti o informazioni a nome e per conto delle strutture pubbliche e private (o dell’università), se non esplicitamente autorizzati e nel rispetto delle indicazioni definite dai regolamenti adottati”.
Per scattare e postare selfie, dunque, ci si può ispirare e trarre suggerimenti consultando gli scatti che abbiamo realizzato durante l’Assemblea Nazionale del 7 marzo scorso, già pubblicati sull’Album ‘#noaldemansionamento’ sulla nostra pagina Facebook.
Fate sentire la vostra voce!
E non dimenticate di aggiungere sempre la dicitura con l’hashtag #noaldemansionamento nella descrizione del vostro post.
Scattare un selfie, dai cui contenuti visivi si evincano elementi riconducibili all’ente di appartenenza (logo aziendale, divisa, ecc.), potrebbe generare problemi e richiamare personali responsabilità. SCONSIGLIAMO VIVAMENTE DI FARLO. È sufficiente scattare un normalissimo selfie aggiungendo alla propria foto personale il semplice cartello sul demansionamento.
Altro strumento cui poter agevolmente ricorrere, altresì scaricabile dal nostro canale YouTube, è il video cartoon della campagna ‘#noaldemansionamento’: un concentrato di informazioni, attraverso il quale Nursing Up spiega in modo semplice chi è l’infermiere oggi e perché la nostra battaglia rappresenti in primo luogo una battaglia di civiltà in favore dell’assistenza e, quindi, a beneficio del cittadino stesso.
È importante fare in modo che il video cartoon diventi per così dire “virale”. In che modo? Semplice. Basta condividerlo mediante il nostro canale Youtube, al link
https://www.youtube.com/watch?v=bEQPpKjklzw&t=11s e/o la nostra pagina Facebook, al link https://www.facebook.com/watch/?v=386668121914547.
Cari colleghi,
stiamo assumendoci una grande responsabilità, ovvero quella di iniziare una battaglia importante a difesa della professione.
Non sappiamo quanto tempo dovremo combattere e quando arriveranno i risultati, ma siamo certi che questo è il momento!
Una volta avviate le manifestazioni sul territorio e verificati i primi risultati, attraverso la Consulta Nazionale forniremo ulteriori indicazioni su come proseguire la lotta. Bisogna arrivare ad aver ragione di quanto chiediamo.
Intanto buon lavoro a tutti e lunga vita al Nursing Up
Il Presidente
Antonio De Palma
P.S.: il Nursing Up Lazio si sta organizzando per l’8 maggio 2019, in via Cristoforo Colombo, davanti alla Regione Lazio – Nella Regione Lazio, con alcune aziende ospedaliere, abbiamo già iniziato con missive verso le direzioni Generali, denunce all’Ispettorato del Lavoro, e recentemente abbiamo coinvolto gli avvocati. La misura è colma, non potevamo procrastinare oltre!
Abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti, della presenza di quanti più colleghi possibili
Unisciti a noi alla più grande manifestazione a livello nazionale!
Nursing Up lotta contro il fenomeno della deprofessionalizzazione!
Inutile dire che per un messaggio efficace alla Nazione, politici compresi, dovremo essere in tanti! ...cosi' non fosse, non lamentiamoci nelle cucine, a che serve?
Fai sentire la tua voce ??
#noaldemansionamento
www.nursingup.it
È LECITO STIPULARE PIU' ASSICURAZIONI PER LO STESSO RISCHIO...
ATTENZIONE AI FALSI PROFETI!
È LECITO STIPULARE PIU' ASSICURAZIONI PER LO STESSO RISCHIO...
Su Facebook, in una pagina consigliavano di contrarre più di un assicurazione, per la stessa questione. Anche io pensavo fosse una cosa fattibile, ma mi dissero il contrario. Pero' per rispondere
...ho scelto un sito estraneo, perché cercavo un informazione superpartes.
Divieto di cumulo di più assicurazioni sullo stesso evento, la medesima malattia, invalidità o danno.
Regionale Nursing Up Lazio
Laura Rita Santoro
PIU' ASSICURAZIONI SULLO STESSO RISCHIO: E' POSSIBILE?
Divieto di cumulo di più assicurazioni sullo stesso evento, la medesima malattia, invalidità o danno.
Immagina di temere di subire un infortunio sul lavoro o un incidente domestico e di stipulare, per ciò, una polizza contro i danni o contro l’eventuale invalidità presso un’assicurazione. Tuttavia, volendo essere sicuro che il risarcimento sia davvero congruo e che ti garantisca anche una certa “rendita”, decidi di stipulare una seconda assicurazione per il medesimo rischio, ma con un’altra compagnia. In questo modo – pensi – potrai lucrare doppiamente sull’evento che, per quanto sfortunato, sarà quantomeno ammortizzato da un doppio risarcimento. Lo puoi fare? È possibile avere più assicurazioni sullo stesso rischio? La risposta è stata fornita dalla Cassazione qualche giorno fa [1].
È lecito stipulare più assicurazioni per lo stesso rischio….
L’assicurato può stipulare con distinti contratti più assicurazioni separate presso diversi assicuratori per garantirsi contro lo stesso rischio e per l’identico periodo di tempo. È ugualmente possibile che per il medesimo rischio siano contratte separatamente (anche da soggetti differenti) più assicurazioni presso diversi assicuratori a favore dello stesso assicurato.
La liceità di più assicurazioni sullo stesso rischio però non deve comportare la possibilità di speculare su tale situazione. Infatti…
… ma non è lecito riscuotere più risarcimenti per lo stesso rischio
Se ammettessimo la possibilità di riscuotere più risarcimenti per il medesimo evento si arriverebbe a un paradosso. Un esempio, per quanto estremo, servirà a comprendere meglio. Immaginiamo un uomo che contragga dieci polizze per infortuni domestici. Un giorno accidentalmente cade da una scala e si frattura una gamba. Il risarcimento riconosciutogli dalla polizza per questo tipo di evento è di circa 2mila euro. Moltiplicando l’indennizzo per il numero di polizze egli otterrebbe 20mila euro. In questo modo, farsi male diventerebbe quasi un investimento o, quantomeno, un lavoro alternativo. Il che andrebbe ovviamente a discapito delle assicurazioni perché faciliterebbe il rischio di frodi (in molti riterrebbero più conveniente subire piccoli infortuni per avere un risarcimento smodato). Così il codice civile [2] stabilisce tre regole fondamentali:
- se per il medesimo rischio sono contratte separatamente più assicurazioni presso diverse compagnie, l’assicurato deve avvisare tutte le assicurazioni di ciò;
- se non lo fa, le assicurazioni non sono tenute a pagare l’indennità nel caso in cui si verifichi il rischio;
- qualora si verifichi il rischio il danneggiato/assicurato può chiedere a ciascuna assicurazione l’indennità dovuta secondo il rispettivo contratto, ma la somma complessivamente riscossa non può superare l’ammontare del danno.
In altri termini, se il contraente ha stipulato due o più polizze a copertura del medesimo rischio di assicurazione (ad esempio contro l’invalidità da malattia), in assenza di previsioni specifiche sulla loro cumulabilità, vige il cosiddetto «principio indennitario» in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito. Danno che corrisponde all’importo più ampio indicato da una delle due polizze.
Cosa succede in caso di danno con più assicurazioni?
In caso di danno, l’assicurato deve darne avviso a tutti gli assicuratori, potendo pretendere l’integrale indennizzo da parte di uno solo di essi, con il solo limite che le somme riscosse non superino l’ammontare del danno.
L’assicuratore che ha pagato l’indennità ha diritto di regresso nei confronti degli altri assicuratori, in proporzione delle indennità dovute in base ai rispettivi contratti.
Più assicurazioni sulla malattia e infortunio
Ricordiamo che il contratto di assicurazione contro gli infortuni è quel contratto con cui l’assicuratore, con il pagamento di un premio, si obbliga al pagamento di una certa somma all’assicurato nel caso di lesione dovuta ad una causa fortuita violenta ed esterna, che ne determini l’inabilità temporanea o l’invalidità permanente.
L’assicurazione contro l’invalidità o quella contro la malattia rientra nell’assicurazione contro i danni. Pertanto ad essa si applica la disciplina del codice civile che abbiamo appena elencato: non sono cumulabili più assicurazioni contratte sullo stesso rischio.
La Cassazione fa salva la possibilità che tra le polizze vi sia un “collegamento negoziale”, ossia che l’una e l’altra prevedano la possibilità del cumulo. Tuttavia ciò è a discrezione dell’assicurazione e, quindi, deve risultare da apposito patto scritto. In assenza di tale menzione le polizze vanno interpretate quali assicurazioni relative al medesimo rischio, con operatività del principio indennitario e conseguente liquidazione del danno in misura non superiore rispetto a quanto effettivamente patito dall’assicurato ai sensi di quanto previsto dal codice civile.
Fonte di questo editoriale: https://www.laleggepertutti.it/204308_piu-assicurazioni-sullo-stesso-rischio-e-possibile
Al “barelliere” non spetta l’indennità infermieristica - Tribunale di Cassino
Il fatto
Un dipendente dell'ASL, transitato alle dipendenze della ARES 118, in servizio presso la Postazione Ambulanze dell’Ospedale, in qualità di ausiliario specializzato dei servizi sanitari di Cat. A 3 CCNL Comparto Sanità, con mansioni di barelliere, si è rivolto al Tribunale chiedendo che fosse accertato il proprio diritto a percepire l'indennità riconosciuta dall'art. 44, comma 6, lett. a), b) e c) CCNL Comparto Sanità (indennità infermieristica), per i servizi di terapia intensiva e/o subintensiva, nonché per il rischio infettivo e l'indennità di rischio radiologico, con conseguente condanna dell'Azienda a corrispondergli le somme dovute anche in relazione al numero di presenze rilevate dai tabulati di servizio.
Profili giuridici
Il giudice ha precisato che alla stregua dell'attuale disciplina contrattuale le indennità in questione competono, appunto, al personale infermieristico e sono collegate all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute. La circostanza quindi che la parte ricorrente non solo non possegga la necessaria qualifica professionale di infermiere, ma neppure sia assegnato ad un reparto di malattie infettive, rende ancor più evidente l'infondatezza della pretesa.
[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassino Sez. lavoro, Sent., 08-04-2013
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 11/12/2009, (...), dipendente dell'Azienda USL di Frosinone sino al 31.12.2004 e poi transitato dal 1. 1.2005 alle dipendenze della ARES 118, in servizio presso la Postazione Ambulanze del P.O. di Cassino, in qualità di ausiliario specializzato dei servizi sanitari di Cat. A 3 CCNL Comparto Sanità, con mansioni di barelliere, si rivolgeva al Tribunale di Cassino - Giudice del Lavoro, chiedendo che fosse accertato e dichiarato il proprio diritto a percepire l'indennità riconosciuta dall'art. 44, comma 6, lett. a), b) e c) CCNL Comparto Sanità, per i servizi di terapia intensiva e/o subintensiva, nonché per il rischio infettivo e l'indennità riconosciuto dall'art. 5, per il rischio radiologico, con conseguente condanna dell'Azienda convenuta a corrispondergli la somma dovutagli, per tali titoli, in relazione al numero di presenze rilevate dai tabulati relativi alla presenza in servizio, oltre rivalutazione ed interessi. Il tutto con vittoria di spese.
Si costituivano in giudizio l'Azienda USL di Frosinone e l'Azienda ARES 118, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone pertanto il rigetto.
All'udienza del 8.1.2013, il Giudice, udita la discussione orale delle parti, decideva come da dispositivo in calce, letto in aula.
Motivi della decisione
Il ricorso non merita di essere accolto.
Ai sensi dell'art. 44, comma 6, CCNL Comparto Sanità (sottoscritto il 1.9.1995), "al personale infermieristico competono le seguenti indennità per ogni giornata di effettivo servizio prestato: a) nelle terapie intensive e nelle sale operatorie: L. 8.000; b) nelle terapie sub-intensive individuate ai sensi delle disposizioni regionali e nei servizi di nefrologia e dialisi: L. 8.000; c) nei servizi di malattie infettive: L. 10.000"; indennità, queste, poi tutte confermate nei CCNL successivi, nei quali ci si è limitati ad adeguarne l'importo.
Tale disposizione contrattuale ha recepito quanto già previsto dall'art. 49, commi 5 e 6 , D.P.R. n. 384 del 1990, che prevedeva ("per le giornale di effettivo servizio prestate") l'erogazione di una indennità giornaliera (,cd. indennità della professione infermieristica) in favore del personale infermieristico, "operante nelle terapie intensive, sub intensive, nelle sale operatorie e nei servizi di nefrologia e dialisi", oltre che nei "servizi di malattie infettive", con la specifica finalità, quanto al predetto personale infermieristico, di "valorizzazione dell'attività professionale adeguata alle esigenze di una crescente responsabilità, per qualificare l'assistenza sanitaria secondo le linee dell'ordinamento comunitario" (v. art. 8, comma 6, D.P.R. n. 384 del 1990 cit.).
Sotto la vigenza di tali disposizioni, non era pertanto in dubbio che le indennità in questione competessero al solo personale infermieristico specificamente individuato con carattere di tassatività (v. Cons. St. 1987/2004; Cons. St. 1840/1999), in ragione della specifica attività infermieristica svolta, con esclusione dunque dell'attribuzione delle relative voci accessorie di retribuzione a diversi profili professionali o in relazione a diverse attività professionali.
Tale conclusione deve ritenersi confermata anche alla stregua dell'attuale disciplina contrattuale, laddove le indennità in questione "competono" appunto "al personale infermieristico" e sono collegate "all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate obiettivamente ovvero pericolose o dannose per la salute" (v. art. 45 D.Lgs. n. 165 del 2001), essendo invece rimessa alla "contrattazione decentrata" e "nei limiti della disponibilità del fondo di cui all'art. 43, comma 2, punto 2)", la possibilità di individuare, "nei servizi" indicati "nel comma 6", "altri operatori del ruolo sanitario, ai quali corrispondere l'indennità giornaliera prevista dal medesimo comma, limitatamente ai giorni in cui abbiano prestalo un intero turno lavorativo nei servizi di riferimento" (v. art. 44, comma 9, CCNL cit.).
La previsione della possibilità di ampliare, in sede di contrattazione decentrala, la platea delle professionalità destinatarie delle prestazioni economiche accessorie in questione, rende quindi evidente che, in difetto di tale pattuizione in sede di contrattazione aziendale, non vi siano margini per il riconoscimento delle predette indennità a personale avente diverso profilo professionale rispetto a quello infermieristico, per l'effetto del mero svolgimento di date prestazioni professionali, comunque solo parzialmente omologabili a quelle rese dagli infermieri stabilmente assegnati ai servizi elencati nelle norme contrattuali sopra richiamate.
Già sulla base di tali considerazioni il ricorso in esame può dunque essere rigettato. A ciò deve aggiungersi che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 9248 del 9.4.2008, pronunciandosi in sede di gravame avverso sentenza del Tribunale di Brescia, emessa ai sensi dell'art. 420 bis c.p.c. (e dell'art. 64, 3 comma, D.Lgs. n. 165 del 2001), ha ritenuto che il termine "servizio", utilizzato dal citato art. CCNL Comparto Sanità, vada interpretato come riferimento "alle articolazioni del servizio sanitario denominabili in modo diverso: divisione, reparto, dipartimento", concludendo, quindi, che "l'art. 44, comma 6, lett. c).. (debba) essere interpretato nel senso che l'indennità ivi prevista spetta esclusivamente al personale infermieristico operante nelle strutture qualificate come Servizi di malattie infettive o equipollenti" ovvero, in altre parole, nei reparti di malattie infettive.
La circostanza quindi che la parte ricorrente non solo non possegga la necessaria qualifica professionale di infermiere, ma neppure sia assegnato ad un reparto di malattie infettive, rende ancor più evidente l'infondatezza della pretesa attorea.
In relazione all'indennità di terapia intensiva o sub intensiva, deve poi rilevarsi che, anche volendo accedere all'interpretazione della disposizione contrattuale, secondo cui la predetta indennità competa non solo a personale (infermieristico) stabilmente adibito a strutture riservate esclusivamente all'attività di terapia intensiva o sub-intensiva, ma anche a personale che abbia prestato servizio in un reparto o divisione specialistica di un Presidio Ospedaliero, in cui, in maniera continuativa e sistematica, sia chiamato a svolgere attività di terapia intensiva o sub-intensiva (si vedano le sentenze non definitive adottate da questo Tribunale in data 16.9.2011, passate in giudicato), nel caso in esame, fatti salvi tutti i rilievi in ordine al difetto del necessario profilo professionale infermieristico, mancherebbe in ogni caso la prova della suddetta adibizione, in maniera continuativa e sistematica, al l'attività di terapia intensiva o sub-intensiva, posto che la parte ricorrente, in qualità di ausiliario addetto alla ambulanze (cd. barelliere) ha svolto, in maniera peraltro occasionale (come confermato dalla prova per testi parzialemente effettuata e dai dati statistici allegati dalle resistenti in ordine ai cd. codici rossi), attività di mero supporto agli interventi rianimatori eventualmente effettuati dal personale infermieristico presente sulle ambulanze.
Sulla base di tali argomentazioni, deve quindi rigettarsi la richiesta avente ad oggetto il riconoscimento delle indennità di cui all'art. 44 CCNL comparto sanità.
Analogamente infondata è poi la richiesta di pagamento dell'indennità di rischio radiologico.
L'art. 5 CCNL comparto sanità prevede: "1. L'indennità di rischio radiologico spettante ai tecnici sanitari di radiologia medica - ai sensi dell'art. 54 del D.P.R. n. 384 del 1990 (sulla base della L. 28 marzo 1968, n. 416, come modificata dalla L. 27 ottobre 1988, n. 460) e confermata dall'art. 4 del CCNL II biennio parte economica 1996 - 1997 del 27 giugno 1996 - a decorrere dall'entrata in vigore del presente contratto è denominata indennità professionale specifica ed è corrisposta al medesimo personale, per 12 mensilità, nella stessa misura di L. 200.000 mensili lorde. 2. Il valore complessivo degli importi della indennità professionale di cui al comma 1 spettante al personale interessato è trasferito dal fondo di cui all'art. 38, comma 1, al fondo dell'art. 39 del CCNL 7 aprile 1999. 3. Al personale diverso dai tecnici sanitari di radiologia medica esposto in modo permanente al rischio radiologico, per tutta la durata del periodo di esposizione, l'indennità continua ad essere corrisposta sotto forma di rischio radiologico nella misura di cui al comma I. L'ammontare delle indennità corrisposte al personale del presente comma rimane assegnato al fondo dell'art. 38, comma I del CCNL 7 aprile 1999. 4. L'accertamento delle condizioni (...)bientali, che caratterizzano le ''zone controllate", deve avvenire ai sensi e con gli organismi e commissioni operanti a tal fine nelle sedi aziendali in base alle vigenti disposi/ioni. Le visite mediche periodiche del personale esposto il rischio delle radiazioni avvengono con cadenza semestrale. 5. Gli esiti dell'accertamento di cui al comma 4 ai fini della corresponsione dell'indennità sono oggetto di informazione alle organizzazioni sindacali ammesse alla trattativa integrativa, ai sensi dell'art. 6, comma 1 lettera a) del CCNL 7 aprile 1999. 6. Al personale dei commi I e 3, competono 15 giorni di ferie aggiuntive da fruirsi in una unica soluzione. 7. L'indennità di cui ai commi 1 e 3, alla cui corresponsione si provvede con i fondi ivi citati deve essere pagata in concomitanza con lo stipendio, non è cumulabile con l'indennità di cui al D.P.R. 5 maggio 1975, n. 146 e con altre eventualmente previste a titolo di lavoro nocivo o rischioso. E', peraltro, cumulabile con l'indennità di profilassi antitubercolare confermata dall'art. 44, comma 2, secondo alinea, del CCNL del 1 settembre 1995".
La normativa contrattuale richiamata nessun riferimento contiene, dunque, ai lavoratori esposti "in modo discontinuo, temporaneo o a rotazione" al rischi radiologico, riconoscendo, invece, l'indennità in questione esclusivamente "ai tecnici sanitari di radiologia" ovvero al "personale diverso dai tecnici sanitari di radiologia medica esposto in modo permanente al rischio radiologico", in quanto addetto alle cd. "zone controllate" ovvero a luoghi in cui esiste una sorgente di radiazioni ionizzanti ed in cui le persone esposte possono ricevere una dose di radiazioni superiore a 1,5 rem all'anno (v. art. 9, lett. e, D.P.R. n. 185 del 1964).
E' evidente, dunque, che l'art. 1, comma 3, della L. La L. n. 460 del 1988, che prevedeva l'indennità di rischio radiologico anche per il personale esposto a detto rischio in modo discontinuo, a seguito dell'adozione del richiamato CCNL, ha cessato di avere ogni efficacia.
Considerato, quindi, che la parte ricorrente, ausiliario/barelliere, in servizio sulle autoambulanze, riconosce di non essere esposto in modo permanente a rischio radiologico e neppure allega di operare in zone controllate ovvero di essere di tatto esposto ad una dose annuale di radiazioni superiore alla misura massima stabilita dalla legge, non può che concludersi per il rigetto anche dell'ulteriore domanda in esame.
Ricorrono giusti motivi, legati alla ricorrenza di difformi orientamenti giurisprudenziali, per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, così provvede:
1. rigetta il ricorso;
2. compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Così deciso in Cassino, il 8 aprile 2013.
Depositata in Cancelleria il 8 aprile 2013.
Causa di servizio: onere della prova in caso patologia con eziologia multifattoriale - Corte di Cassazione
§ - il dipendente che sostenga la dipendenza dell'infermità da una causa di servizio, ha l'onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell'affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita. Ne consegue che, ove la patologia presenti un'eziologia multifattoriale, il nesso causale tra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell'esposizione a rischio.
La Cassazione ha così confermato il diniego di equo indennizzo del dipendente ASL che aveva agito in giudizio per ottenere il riconoscimento della causa di servizio in relazione all’infarto subito quale dedotta conseguenza dello sforzo posto in essere durante l’attività lavorativa.
[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 giugno – 15 ottobre 2014, n. 21825
Svolgimento del processo
L.P. adiva il Tribunale di X. per ottenere - previo il riconoscimento della causa di servizio dell'evento IMA subito in data 29/1/1997 in quanto conseguenza dello sforzo posto in essere durante l'attività lavorativa in data 20/12/1996 - la condanna dell’amministrazione da cui dipendeva, Azienda Usl di X. X., alla corresponsione dell'equo indennizzo. Il Tribunale con sentenza n. 261 del 28 gennaio 2008 respingeva il ricorso e l'appello veniva rigettato dalla Corte di Genova con sentenza n. 140 del 2010, che riteneva improbabile il collegamento causale o concausale tra lo sforzo e l’insorgenza della patologia, anche in ragione anche del tempo trascorso (oltre un mese).
All'esito del ricorso per cassazione proposto dal lavoratore, questa Corte con ordinanza n. 24195 del 2011 cassava con rinvio la sentenza d'appello, argomentando che il giudice di merito non aveva motivato in modo adeguato su quanto riferito dal CTU in merito al rilevante grado di probabilità della dipendenza dell’infermità dalla causa di servizio, nonché sulla deposizione resa dal teste R. , collega di lavoro del ricorrente, il quale aveva dichiarato che il L. fino al 20.12.1996 godeva ottima salute e dopo avere sollevato il paziente dalla barella aveva sentito un forte dolore al petto piegandosi in avanti.
La Corte d'appello di Milano, giudicando in sede di rinvio, con la sentenza n. 4 del 2013 all'esito del nuovo esame delle circostanze valorizzate nell'ordinanza rescindente respingeva l'appello avverso la sentenza del Tribunale di X. e compensava tra le parti le spese di lite. Riteneva la Corte che il lavoratore non avesse assolto l'onere su di lui incombente di dimostrare il nesso di causalità fra attività lavorativa e patologia; rilevava che il consulente tecnico nominato in primo grado, sebbene avesse affermato che non era possibile escludere un nesso causale tra lo sforzo occorso e l'infarto del miocardio, non aveva affermato che l'evento lavorativo si fosse posto come condicio sine qua non della malattia, essendosi innestato su una situazione patologica preesistente; neppure poteva considerarsi dirimente la deposizione del teste R. , in considerazione del carattere multifattoriale del sintomo riscontrato, dolore al petto, che poteva essere dipeso anche da una tensione muscolare o articolare.
Per la cassazione di tale sentenza L.P. ha proposto ricorso e depositato memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l'Azienda Usl X di X. e X..
Motivi della decisione
1. Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Come primo motivo parte ricorrente deduce "Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 41 c.p. e del d.p.r. n. 686 del 1957 e d.p.r. n. 461 del 2001; difetto di motivazione ovvero motivazione insufficiente o contraddittoria ed errata valutazione delle risultanze istruttorie: elusione dell'ordinanza n. 24195/2011 della Corte di cassazione; violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 384 c.p.c.; mancata rinnovazione subordinata dell'istruttoria: sopravvenienza di sentenza della Corte dei Conti attestante la dipendenza da causa di servizio dell'infermità contratta dal ricorrente e concessiva di pensione privilegiata ordinaria".
Addebita alla Corte d'Appello di avere ritenuto che al ricorrente spettasse l'onere di dimostrare la derivazione della patologia da causa di servizio con certezza matematica e assoluta, ignorando l'ambito dell'analisi circoscritto dalla Corte di cassazione con l'ordinanza rescindente e ritenendo insufficiente il contenuto della c.t.u. stilata nel corso del giudizio di primo grado che si era espressa in termini di elevata probabilità che l'infarto si fosse verificato a seguito di una catena di eventi iniziata con l'intenso sforzo verificatosi sul lavoro. Aggiunge che la Corte dei conti della Toscana con sentenza n. 170 del 2013 depositata il 14 maggio 2013 ha dichiarato la dipendenza da causa di servizio dell'infermità contratta ed attribuito al ricorrente il diritto alla percezione del trattamento pensionistico di privilegio ordinario, all'esito di c.t.u. stilata dall'Ufficio medico legale del ministero della salute.
1.2. Come secondo motivo deduce "Error in procedendo. Omessa e/o errata valutazione di fondamentali risultanze istruttorie. Travisamento di fatti e dei motivi di appello. Omessa o in subordine insufficiente o contraddittoria valutazione di un fatto controverso e decisivo; ulteriore elusione dell'ordinanza numero 24195 della Corte di cassazione".
Lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto non dirimente la deposizione del teste R. , dalla quale emergeva che egli aveva avvertito un forte dolore al cuore subito dopo aver sollevato il pesantissimo paziente dalla barella, attribuendo efficacia determinante al fatto che l'infarto si fosse verificato circa un mese dopo rispetto a tale evento nonostante che l'infarto al miocardio ben possa verificarsi a distanza di tempo dal cosiddetto effetto scatenante.
Chiede che questa Corte decida la causa nel merito ex articolo 384 c.p.c. accogliendo la domanda proposta o in subordine cassi la sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito di secondo grado con eventuale ordine di rinnovazione della c.t.u., stanti le intervenute sopravvenienze peritali e decisorie.
2. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.
2.1. Prima di ogni altra considerazione si rileva la mancata ottemperanza dell'onere dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo una consolidata elaborazione giurisprudenziale, costituisce il corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione e che risulta ora tradotto nelle più puntuali e definitive disposizioni contenute negli artt. 366, co. 1, n.6 e 369, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. (cfr. SS.UU. 22 maggio 2012, n.8077 in motivazione). In particolare la norma di cui all'art. 366 n.6 cod. proc. civ., ponendo come requisito di ammissibilità “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, richiede la specificazione dell'avvenuta produzione in sede di legittimità, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione del luogo all'interno di tali fascicoli, in cui gli atti o documenti evocati sono rinvenibili. Merita puntualizzare che le SS. UU. (sentenza 3 novembre 2011 n. 22726), intervenendo sull'esegesi del diverso onere di cui all'art. 369 comma 2, n. 4 cod. proc. civ., hanno confermato, anche per gli atti processuali, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., del contenuto degli stessi atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari al loro reperimento. Invero il tenore della disposizione non lascia adito a dubbi sull'estensione dell'onere di “specifica indicazione” di cui al n. 6 della norma a tutti gli atti e documenti (negoziali e non) necessari alla decisione sul ricorso, espressamente ricomprendendo nel relativo ambito oggettivo gli “atti processuali” generalmente intesi.
Nel caso che ci occupa, nel ricorso si sostiene che la corte di merito non avrebbe esattamente interpretato la consulenza tecnica d'ufficio stilata dal dr. C. nel corso del giudizio di primo grado, nonché la deposizione del teste R.E. , senza tuttavia riportarne il preciso contenuto (se non, con riferimento alla c.t.u., di tre righe di pg. 3), il che impedisce di valutare l'esatta portata della censura e di individuare quali sarebbero le circostanze ignorate o travisate dal giudice di merito.
2.2. Deve peraltro rilevarsi che in adempimento del mandato conferito con la sentenza rescindente sia la c.t.u. di primo grado che la deposizione testimoniale indicata sono state ampiamente e puntualmente esaminate dalla Corte milanese, che ha riportato ampi stralci della c.t.u. dai quali emerge una valutazione di compatibilità dell'evento morboso con la causa lavorativa, ma non di determinismo causale della seconda, e ritenendo che il "dolore al petto" accusato dal L. al momento del sollevamento del paziente dalla barella riferito dal teste R. non fosse univocamente interpretabile. Né il fatto che questa Corte avesse imposto una più approfondita valutazione degli elementi sopra indicati imponeva l'adozione da parte del giudice del rinvio della soluzione favorevole al ricorrente.
Il ricorrente chiede quindi a questa Corte di riesaminare le risultanze richiamate, cercando in esse i contenuti che potrebbero essere rilevanti nel senso da lui patrocinato. Quello che si sollecita in sostanza è una nuova valutazione delle risultanze di causa, inammissibile in questa sede, considerato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica, della coerenza logico-formale e della completezza, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito.
2.3. In merito all'interpretazione dell'ampiezza dell'onere della prova gravante sul ricorrente, la Corte d'Appello all'esito della puntuale valutazione degli elementi di causa ha escluso che egli l'avesse assolto. A tale fine, il giudice di merito ha tenuto conto dell'elaborazione di questa Corte di legittimità secondo la quale il dipendente che sostenga la dipendenza dell'infermità da una causa di servizio ha l'onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell'affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita. Ne consegue che, ove la patologia presenti un'eziologia multifattoriale, il nesso causale tra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell'esposizione a rischio (Sez. U, Sentenza n. 11353 del 17/06/2004, Sez. L, Sentenza n. 15080 del 26/06/2009). Né in tale ambito può avere valore esclusivo e determinante la consulenza tecnica - che nel caso peraltro non è giunta a conclusioni univoche -considerato che essa non costituisce un mezzo sostitutivo dell'onere della prova, ma solo uno strumento istruttorio finalizzato ad integrare l'attività del giudice per mezzo di cognizioni tecniche con riguardo a fatti già acquisiti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 16778 del 17/07/2009).
2.4. Della consulenza tecnica dell'I 1 gennaio 2013 stilata dall'ufficio medico legale del Ministero della salute non può infine tenersi conto, considerato che la produzione di nuovi documenti nel giudizio di legittimità è preclusa dall'articolo 372 c.p.c..
3. Segue a quanto esposto il rigetto del ricorso.
3.1. La complessità dell'accertamento richiesto per la decisione determina la compensazione tra le parti delle spese processuali.
3.2. D ricorso è stato notificato il 12.7.2013, dunque in data successiva a quella (31.1.2013) di entrata in vigore della L. 24 dicembre 2012, n. 228, il cui art. 1, comma 17, ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore: "Quando l'impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma dell'art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso". Essendo il ricorso integralmente rigettato, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13
La “grave negligenza”, ai fini del licenziamento disciplinare, assume un peso diverso se si tratta di un medico o un infermiere, rispetto ad altre attività. Cassazione Civile
Fonte: http://www.dirittosanitario.net
Il riferimento contenuto nella lett. e) dell'art. 42, lett. E) del C.C.N.L. (per i lavoratori delle cooperative del settore socio-sanitario assistenziale educativo e di inserimento lavorativo del 2006-2009 sottoscritto il 30/7/2008) che prevede il licenziamento in caso di "grave negligenza nell'esecuzione dei lavori che implichino pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli ambienti affidati"- importa che tale pregiudizio non sia necessariamente effettivo ma potenziale.
Una corretta lettura della norma induce a ritenere che il "pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli ambienti deve collegarsi causalmente non già alla negligenza, seppur connotata da gravità, quanto piuttosto ai lavori o agli ordini i quali involgano, per il loro contenuto oggettivo, persone (e la loro incolumità) o gli ambienti (e la sicurezza). Si è voluta cioè differenziare la "grave negligenza" in ragione del settore in cui si esplica l'attività del lavoratore, a seconda che esso sia, per così dire, neutro o riguardante direttamente beni primari. In altri termini, la norma in esame rimarca l'indubbio diverso peso, sotto il profilo disciplinare, della grave negligenza del medico o dell'infermiere rispetto a quella, ad esempio, dell'usciere o dell'addetto alle pulizie. E anche la scelta del verbo "implicare", la cui valenza è senz'altro più ampia di quella di altri verbi come "produrre" o "determinare", è sintomatica di una volontà delle parti di attribuire rilievo a fatti che di per sè, per la loro gravità e per la connessione con lavori o ordini incidenti sull'incolumità delle persone o sulla sicurezza degli ambienti, possano condurre, come necessariamente o come logica conseguenza, ad un pregiudizio. Da nessun dato testuale è dato di evincere che il pregiudizio dev'essere necessariamente attuale, ma è sufficiente che esso sia anche solo potenziale, purchè concreto e non meramente ipotetico.
Cassazione civile sez. lav.
Sentenza 16336 del 04/08/2015
omissis
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con lettere del 15 febbraio 2013, la CIDAS Cooperativa Sociale a r.l. O.N.L.U.S. (di seguito solo CIDAS) ha contestato a M. G., suo dipendente a tempo indeterminato, con la qualifica di Infermiere Professionale - categoria D, livello D2 -, due addebiti:
il primo, di essersi accinto ad effettuare un prelievo di sangue ad una paziente per la quale non era previsto, e di non averlo effettivamente eseguito per la pronta reazione della stessa; il secondo, di aver inviato presso il pronto soccorso di Imola una paziente accompagnata da scheda sanitaria e copia del documento di identità di altra paziente, causando ritardi nelle prescrizioni degli esami diagnostici e l'errata archiviazione degli esami eseguiti nel sistema applicativo.
2. A seguito di procedimento disciplinare, il lavoratore è stato licenziato per giusta causa senza preavviso, con lettera raccomandata dell'8 marzo 2013.
3. Il licenziamento è stato impugnato dal M. ai sensi dellaL. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, dinanzi al Tribunale di Bologna, che ha rigettato l'impugnativa con ordinanza. Proposto il ricorso in opposizione, anch'esso è stato rigettato dal Tribunale.
4. La sentenza è stata reclamata dinanzi alla Corte d'appello di Bologna, la quale ha accolto il gravame e, per l'effetto, ha annullato il licenziamento; ha ordinato l'immediata reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato; ha condannato la CIDAS al risarcimento del danno subito dal lavoratore, liquidato in dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre agli accessori di legge, nonchè alla regolarizzazione della posizione contributiva e assistenziale del lavoratore; ha infine condannato la cooperativa al pagamento delle spese delle precedenti fasi del giudizio.
5. Contro la sentenza la CIDAS propone ricorso per cassazione sostenuto da un unico articolato motivo, poi illustrato da memoria.
Il lavoratore resiste con controricorso.
6. Preliminarmente, deve respingersi l'eccezione di inammissibilità del controricorso, sollevata dalla CIDAS nella memoriaex art. 378 c.p.c., sul presupposto che l'atto sarebbe stato notificato alla parte personalmente e non invece al suo procuratore. Nel ricorso per cassazione la CIDAS, rappresentata e difesa dagli avv. Benito Magagna e Paola Ramadori, ha eletto domicilio "presso e nello studio dell'avv. Paola Ramadori in Roma..." e dalla relazione di notificazione del controricorso risulta che esso è stato rivolto alla CIDAS "presso e nello studio del procuratore e difensore avv. Paola Ramadori, con studio in Roma.... ". Tale notificazione, in quanto eseguita alla parte presso il difensore domiciliatario, è equivalente a quella effettuata, ai sensi degli artt.170e370 c.p.c., al procuratore costituito della parte, atteso che entrambe le forme di notificazione soddisfano l'esigenza di assicurare che l'atto sia portato a conoscenza della parte per il tramite del suo difensore tecnico, come tale professionalmente qualificato a valutare l'opportunità di eventuali difese (cfr., sul principio espresso con riguardo alla notificazione dellasentenza, Cass., 15 giugno 2004, n. 11257;Cass., 18 aprile 2014, n. 9051). Deve aggiungersi che, in tema di notificazioni, qualora il controricorso abbia raggiunto lo scopo di portare tempestivamente a conoscenza del ricorrente le deduzioni dell'avversario, risulta del tutto irrilevante, giusta disposto dell'art. 156 c.p.c., comma 3, la eventuale nullità della notificazione di detto atto (Cass., 17 novembre 1998, n. 11551;
Cass., 21 febbraio 2007, n. 4035;Cass., 31 ottobre 2014, n.23172).
7. Il motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione e la falsa applicazione dell'art. 42, lett. E) del C.C.N.L. per i lavoratori delle cooperative del settore socio-sanitario assistenziale educativo e di inserimento lavorativo del 2006-2009 sottoscritto il 30/7/2008, nonchè la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2119 c.c..
Esso è articolato sotto quattro diversi profili.
8. a) Sotto il primo profilo, muovendo dall'accertamento dei fatti compiuto nelle precedenti fasi di merito, la ricorrente censura la sentenza perchè non avrebbe dato il dovuto rilievo non solo al "potenziale grave pregiudizio" che sarebbe potuto derivare dalla condotta tenuta dal lavoratore, ma anche alla gravità della negligenza in cui questo era incorso, considerato che l'errore circa la documentazione di accompagnamento della paziente era stato scoperto e riparato solo dal personale del pronto soccorso e solo dopo circa un'ora e mezzo dall'arrivo della paziente, che non aveva accompagnatori ed era in coma. La condotta addebitata era dunque inquadrabile nell'ipotesi di cui all'art. 42, lett. E), che prevede il licenziamento in caso di "grave negligenza nell'esecuzione dei lavori che implichino pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli ambienti affidati".
9. b) Sotto il secondo profilo, il motivo è incentrato sulla violazione degli artt.1362e1363 c.c., addebitata dalla corte bolognese, nella parte in cui non ha tenuto conto delle espressioni letterali usate nella norma citata ed ha ritenuto che i fatti rientrassero nell'ipotesi sanzionata con la multa, in particolare nella lett. c) dello stesso art. 42, che prevede "irregolarità di servizio, abusi, disattenzione, negligenza nei propri compiti, quando non abbiano arrecato danno".
10. c) Sotto il terzo profilo la ricorrente censura la sentenza per non aver dato rilievo al precedente disciplinare in cui era incorso il lavoratore e per il quale gli era stato inflitto il richiamo verbale, a causa di comportamenti negligenti e non professionali tenuti in servizio (irreperibilità durante i turni di servizio) e inadeguati nei confronti di ospiti e familiari; non aveva altresì considerato le dichiarazioni rese sul punto dai parenti dei pazienti ricoverati.
11. d) Sotto il quarto profilo la ricorrente prospetta le medesime questioni ed inquadra la condotta del lavoratore tra le "azioni in grave contrasto con i principi della cooperativa", che legittimano il licenziamento ai sensi dell' stesso art. 42, ritenendo erronea l'affermazione della corte secondo cui perchè sussista tale ipotesi è necessario l'elemento intenzionale. Inoltre, il collegio d'appello non aveva considerato che gli errori commessi dal lavoratore potevano costituire un'ipotesi di inadempimento da parte della stessa cooperativa degli obblighi nascenti dal contratto di servizio con laASLdi Imola, con grave pregiudizio anche economico di essa cooperativa.
12. Il motivo è fondato nella sua intera articolazione.
13. E' opportuno premettere che, secondo principi pressochè consolidati di questa Corte (v. ex multis,Cass., 2 marzo 2011, n. 5095), la giusta causa di licenziamento, quale fatto "che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", è una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà, articolata e mutevole - configura con una disposizione inquadrabile nelle cosiddette clausole generali, di contenuto limitato e generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (Cass., 13 agosto 2008, n. 21575).
14. Al riguardo, va anche evidenziato come l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si ponga sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli "standards", conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
75. Nel formulare il giudizio sulla sussistenza della giusta causa, il giudice deve valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare (Cass., 3 dicembre 2014, n. 25608).
E anche nell'ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giusta causa di licenziamento, il giudice investito della legittimità di tale recesso deve comunque valutare alla stregua dei parametri di cui all'art. 2119 c.c., l'effettiva gravità del comportamento stesso alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, con l'ulteriore precisazione che la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante l'inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all'art. 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell'elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (Cass., 19 agosto 2004, n. 16260;Cass., 14 febbraio 2005, n. 2906;Cass., 26 aprile 2012, n. 6498).
16. Alla luce di questi principi, la valutazione compiuta dalla corte territoriale, nel pervenire al giudizio di illegittimità del licenziamento intimato al Guido, non è appagante.
17. I fatti contestati al lavoratore sono ormai incontrovertibilmente accertati e riguardano due diversi episodi, collocati a breve distanza di tempo l'uno dall'altro: il primo risalente al 30/1/2013, in cui il Guido si apprestava a fare un prelievo non richiesto ad una paziente che, vigile, lo aveva impedito; il secondo, commesso il 10/2/2013, in cui l'infermiere professionale aveva erroneamente predisposto la documentazione sanitaria di accompagnamento di una paziente al pronto soccorso di Imola, trasmettendo scheda clinica e copia del documento di identità relativa ad altra persona; l'errore era stato scoperto da un sanitario del pronto soccorso che aveva verificato l'incongruenza tra la scheda terapeutica inerente alla paziente (e correttamente trasmessa) e l'altra documentazione inerente ad altro soggetto.
18. La corte territoriale ha ritenuto entrambe queste condotte caratterizzate da "disattenzione del lavoratore dell'esecuzione della propria prestazione", ma ha escluso che esse integrassero un comportamento di "grave contrasto con i principi della cooperativa".
Ha altresì negato che esse potessero inquadrarsi nell'ipotesi di cui alla lett. e) dell'art. 42 C.C.N.L. richiamato, in assenza di un pregiudizio all'incolumità e all'integrità psico-fisica di entrambe le pazienti. Per contro, ha sostenuto che i fatti dovessero rientrare nell'ipotesi di "irregolarità di servizio, abusi, disattenzione, negligenza nei propri compiti, quando non abbiano arrecato un danno" per cui il C.C.N.L. prevede la sanzione della multa (art. 42 lett. c). Ha quindi aggiunto che la contrattazione collettiva, nel distinguere la "grave negligenza" da cui sia derivato un "pregiudizio all'incolumità delle persone" (per cui è previsto il licenziamento senza preavviso), dalla disattenzione o negligenza che non arrechino danno (e per cui è prevista la sanzione della multa), "esclude radicalmente che, alfine di valutare la condotta del dipendente, possa farsi riferimento al concetto di potenzialità del danno evocato da parte reclamata".
19. Il giudizio espresso dalla Corte d'appello non appare coerente sul piano logico e non è rispettosa della volontà delle parti come espressa nella norma di cui all'art. 42 del C.C.N.L. Le sue considerazioni sia in ordine al giudizio di "gravità" della negligenza, che pure riconosce nella condotta del lavoratore, sia in ordine al concetto di "pregiudizio per l'incolumità", poste come presupposto della valutazione (negativa) della gravità della condotta del lavoratore, anche nel giudizio di proporzionalità, sono meramente assertive e non possono essere ricondotte ai canoni giuridici delle massime di esperienza, o dei fatti notori, come precisati dalla giurisprudenza di questa Corte.
20. In particolare, i giudici bolognesi non hanno tenuto in adeguato conto le specifiche mansioni di infermiere professionale attribuite al M., le particolari condizioni di soggezione e di inferiorità psico-fisica in cui versavano le due pazienti (la seconda, in coma e senza accompagnatori), e in genere le persone di cui egli è tenuto a prendersi cura (essendo incontestato che la CIDAS gestisce una casa di residenza per anziani di medicina) nell'ambito dei compiti inerenti al suo profilo professionale ed il tipo di disattenzione commessa.
Ed infatti la Corte territoriale non ha valutato compiutamente la condotta del M., riguardante un trattamento non disposto dai sanitari, la cui esecuzione (a differenza di quanto assume, non senza una certa disinvoltura, la Corte territoriale, che ritiene "notorio" che un prelievo di sangue non possa compromettere la salute del paziente) non può essere considerato un fatto di per sè innocuo, trattandosi in ogni caso di un intervento sanitario che incide sull'integrità psico-fisica del soggetto, e per il quale è necessario che sussistano gli estremi, oltre al consenso dell'interessato. Per di più, il comportamento del M., relativo all'errata trasmissione della documentazione sanitaria e anagrafica, avrebbe potuto indurre i sanitari del pronto soccorso a scelte inappropriate, sia sotto il profilo diagnostico sia sotto quello terapeutico. Con particolare riguardo a questo secondo episodio, il giudizio della Corte circa la (non) gravità della negligenza ascritta non è rispettoso delle regole di comune esperienza, giacchè non si è considerato che il pregiudizio all'incolumità della paziente non si è verificato non già perchè la condotta del lavoratore fosse di per sè inidonea a procurarlo, quanto piuttosto perchè vi è stata competenza e attenzione da parte del sanitario del pronto soccorso che, dopo circa un'ora dall'arrivo della paziente, si è reso conto dell'errore, richiedendo alla CIDAS l'esatta scheda sanitaria. A ciò devono aggiungersi, quali ulteriori elementi di valutazione, non correttamente ponderati dal giudice di merito, la vicinanza temporale dei due episodi, il precedente disciplinare del richiamo verbale per comportamenti negligenti tenuti dal lavoratore (irreperibilità durante i turni di servizio), le dichiarazioni rese da parenti degli ospiti della struttura, che lamentavano comportamenti inadeguati nei loro confronti degli assistiti posti in essere dal M.. Al riguardo, occorre precisare che tali comportamenti, quand'anche non sanzionati e non direttamente rilevanti ai fini della sanzione da applicare, ben possono e devono essere considerati ai fini della valutazione, sotto il profilo soggettivo, del fatto addebitato (Cass., 21 maggio 2008, n. 12958;
Cass. 19 dicembre 2006, n. 27104; cfr. su un caso analogo,Cass., 30 marzo 2006, n. 7543).
21. Tutti questi elementi devono essere valutati nel loro complesso, e non già in modo atomistico come invece emerge dal testo della sentenza impugnata (cfr.Cass., 9 marzo 2012, n. 3703;Cass., 5 dicembre 2011, n. 26022), e rapportati alle specifiche mansioni attribuite al lavoratore, tra cui rientra come obbligo fondamentale quello di garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostiche-terapeutiche (Cass., n. 7543/2006, cit).
22. L'interpretazione della Corte appare viziata anche nell'esame delle norme del C.C.N.L. Erroneamente il giudice territoriale ha ritenuto che il riferimento contenuto nella lett. e) dell'art. 42 del C.C.N.L. - che prevede il licenziamento in caso di "grave negligenza nell'esecuzione dei lavori che implichino pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli ambienti affidati"- al pregiudizio all'incolumità delle persone richieda, per l'irrogazione della sanzione espulsiva, che tale pregiudizio sia effettivo e non meramente potenziale.
23. Una corretta lettura della norma induce a ritenere che il "pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli ambienti deve collegarsi causalmente non già alla negligenza, seppur connotata da gravità, quanto piuttosto ai lavori o agli ordini i quali involgano, per il loro contenuto oggettivo, persone (e la loro incolumità) o gli ambienti (e la sicurezza). Si è voluta cioè differenziare la "grave negligenza" in ragione del settore in cui si esplica l'attività del lavoratore, a seconda che esso sia, per così dire, neutro o riguardante direttamente beni primari. In altri termini, la norma in esame rimarca l'indubbio diverso peso, sotto il profilo disciplinare, della grave negligenza del medico o dell'infermiere rispetto a quella, ad esempio, dell'usciere o dell'addetto alle pulizie. E anche la scelta del verbo "implicare", la cui valenza è senz'altro più ampia di quella di altri verbi come "produrre" o "determinare", è sintomatica di una volontà delle parti di attribuire rilievo a fatti che di per sè, per la loro gravità e per la connessione con lavori o ordini incidenti sull'incolumità delle persone o sulla sicurezza degli ambienti, possano condurre, come necessariamente o come logica conseguenza, ad un pregiudizio. Da nessun dato testuale è dato di evincere che il pregiudizio dev'essere necessariamente attuale, ma è sufficiente che esso sia anche solo potenziale, purchè concreto e non meramente ipotetico.
24. In conclusione, l'accoglimento, nei termini esposti, del motivo di ricorso comporta l'annullamento della impugnata decisione con rinvio, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altro giudice d'appello, indicato in dispositivo, che provvedere al riesame della controversia alla stregua delle svolte considerazioni.
· PQM
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2015.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2015
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