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Studio UK. Un minor carico assistenziale per infermiere riduce la mortalità ospedaliera del 20%

 

 

Fonte per approfondire: http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=37499&fr=n

Alleggerire il carico assistenziale, scendendo da 10 a 6 pazienti per infermiere, significa ridurre la mortalità del 20% nei reparti di medicina e del 17% in quelli chirurgici. Non c’è invece nessun vantaggio dall’aumentare il numero degli operatori sanitari di supporto, tanto meno se questo avviene a scapito del personale infermieristico

 

Il rapporto ideale infermieri-pazienti? Un infermiere professionale ogni 6 pazienti (o meno). E’ quanto scaturisce da uno studio pubblicato su BMJ Open condotto presso alcuni ospedali inglesi da Peter Griffith del National Institute for Health Research Collaboration for Leadership in Applied Health Research and Care – CLAHRC (Gran Bretagna). Il messaggio di fondo è che un minor carico di pazienti per singolo infermiere si traduce in una importante riduzione di mortalità, quantificata in un meno 20%, abbassando da 10 a 6 il numero di pazienti affidati ad un singolo infermiere.
In passato altre ricerche avevano già evidenziato che il rapporto numerico infermiere/pazienti ha il suo peso sui risultati clinici, ma pochi sono stati gli studi che hanno preso in considerazione anche altri membri dello staff medico.

La ricerca pubblicata su BMJ Open ha esaminato due gruppi di dati raccolti in un arco temporale di due anni (2009-11). Il primo è relativo a dati amministrativi, sul numero di pazienti affidati ad ogni infermiere, medico, operatore sanitario di supporto presso 137 ospedali per acuti del NHS inglese. Il secondo è una survey trasversale su un campione di circa 3.000 infermieri presso 31 trust (comprendenti 46 ospedali e 401 reparti).

La mortalità attesa, sia tra i pazienti di area medica che chirurgica, è stata calcolata considerando fattori quali età, altre condizioni sottostanti, numero di accessi al pronto soccorso nei precedenti 12 mesi.
 
Tra i pazienti ricoverati nei reparti di medicina, i tassi di mortalità più elevati sono risultati associati ad un maggior numero di pazienti  affidati ad ogni infermiere e ad ogni medico, cioè ad un rapporto sfavorevole pazienti/medico e pazienti/infermiere. Per contro la presenza di un maggior numero di operatori sanitari di supporto non dà gli stessi riscontri ed è anzi risultato associato a un maggior tasso di mortalità ospedaliera.
 
Il tasso di mortalità risultava del 20% inferiore quando ogni infermiere aveva in carico un numero di pazienti pari a 6 o meno, rispetto a quei contesti dove ogni singolo infermiere aveva in carico 10 o più pazienti.
Anche nei reparti chirurgici un rapporto infermiere/pazienti più favorevole risultava associato ad una riduzione di mortalità del 17% rispetto ai contesti con rapporto personale infermieristico/pazienti più sfavorevole.
 
“Trattandosi di uno studio osservazionale – riflettono gli autori - non è possibile trarre conclusioni certe sull’esistenza di un rapporto causa-effetto tra mortalità e rapporto personale infermieristico/pazienti sfavorevole.
Il nostro studio non consente di individuare delle soglie sicure sulla numerosità dello staff. Tuttavia, data la forza complessiva dell’evidenza circa la presenza di un’associazione, è possibile individuare livelli numerici di staff che espongono ad un aumentato rischio i pazienti.
 
La pressione economica e l’invecchiamento della forza lavoro infermieristica a livello internazionale fanno presagire scenari futuri con un ridotto numero di personale infermieristico. Sembra tuttavia decisamente poco saggio, visti i risultati di questo studio, sostituire gli infermieri con figure professionali meno qualificate. Sulla mortalità appare assolutamente rilevante il numero degli infermieri, mentre non c’è nulla che suggerisca che un numero maggiore di ausiliari abbia un ruolo nel ridurre i tassi di mortalità. Alla luce di queste evidenze – concludono gli autori - le attuali politiche che vanno verso la sostituzione progressiva degli infermieri con gli operatori sanitari andrebbero profondamente ripensate”.